Start-up: chi ben comincia, comincia in modo scientifico

Da alcuni anni il “fenomeno start-up” è posto sotto i riflettori dai soggetti di business quanto da quelli normativi.

Specifiche politiche per lo sviluppo emanate dall’Unione Europea, così come direttive regionali e interventi mirati del legislatore nazionale sono andati a definire uno specifico quadro normativo e di incentivazione del “fenomeno”.

Start-up: quali competenze e discipline?

Da un lato le nuove realtà connesse all’Internet e alla cosiddetta “società della comunicazione”, dall’altro la crisi di modelli di business nati e sviluppati nei decenni connotati da dinamiche economiche virtuose, hanno infatti creato l’opportunità e la necessità dello sviluppo di nuova imprenditorialità e di nuovi progetti di business capaci di competere in modo efficace e flessibile nel contesto economico post-moderno.

Quali sono le competenze necessarie ad una nuova attività di impresa e a coloro i quali se ne fanno carico? Quali le aree disciplinari coinvolte?

Lo statuto epistemologico di una disciplina di così nuova generazione è certamente un territorio ancora poco esplorato.

Parte rilevante della sfida da parte delle start-up si gioca anche su questo fronte, ovvero sull’analisi approfondita di una complessità ingente ma spesso poco evidente in un primo, superficiale approccio.

Se il quadro normativo nazionale ha reso infatti particolarmente agevole sia dal punto di vista burocratico che fiscale l’avvio di una nuova attività di impresa, con specifico riguardo alle cosiddette “start-up innovative”, la complessità della sfida imprenditoriale risiede nella capacità di trovare sintesi efficace tra approcci diversi legati all’economia, al marketing, alla psicologia individuale e del lavoro.

Se i dati relativi alle nuove attività di impresa confermano infatti un trend in continua crescita ed espansione sull’intero territorio nazionale, esistono statistiche assai meno confortanti relative alla capacità delle start-up di generare profitto nel medio-lungo termine.

Perché le start-up falliscono

Poche start-up superano la fase di avviamento e fondano le basi per una crescita solida e stabile.

A monte di ciò risiedono, per l’appunto, le diffuse e profonde lacune relative agli aspetti economici e di marketing da un lato e psicologici dall’altro.

Produci ciò che puoi vendere e non tentare di vendere ciò che hai prodotto”

Questo recita il primo e più importante principio del marketing. Un principio, che è anche un monito, oggi adottato nella sua integrità da ancora poche aziende, che sviluppano il proprio business spesso più seguendo logiche assodate e divenute consuetudine piuttosto che una progettualità marketing che origini anzitutto dall’analisi delle opportunità di mercato.

Ciò avviene anche quando soggetti nuovi (start-up) entrano nel mercato. Troppo spesso la loro azione non è sorretta da un chiaro e organizzato pensiero strategico. In molti casi l’idea di business ha più attinenza con la passione di chi la manifesta piuttosto che con un più che necessario quadro analitico e strategico.

La passione, così come la competenza nello specifico business, sono condizioni necessarie ma non sufficienti, in particolare nei contesti iper competitivi moderni.

La mancanza di una strategia marketing e commerciale è oggi la principale causa dell’elevata percentuale di start-up che cessano la loro attività nel breve-medio periodo, trovandosi a competere senza adeguati strumenti, esposti alle difficoltà di emergere e distinguersi che si traducono in perdita di valore percepito e quindi nella necessità di promuovere prezzi troppo bassi per la sostenibilità finanziaria, così come nella scarsa capacità di attirare investimenti.

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Francesco Sordi
Lavoro per le aziende che vogliono elevare il livello del proprio marketing per raggiungere nuovi obiettivi con grande efficienza. Mi occupo di formazione, consulenza, training on the job e temporary management.