Overload informativo ai tempi del Covid-19

Mai come in questi giorni sperimentiamo cosa sia l’overload informativo.

Telegiornali, radio, programmi tv, social, chat: tutti, tutti i giorni parlano di Covid-19.

Ma non ci sono notizie! Non c’è nulla di nuovo.

Eppure tutti parlano e parlano. E altri ascoltano e leggono.

Perché? Per compensare un bisogno determinato dall’ansia.

E quando c’è l’ansia, così come qualsiasi stato emozionale intenso, non c’è razionalità che tenga.

Dare maggiori informazioni alimenta l’ansia, non la toglie.

Staremmo tutti meglio se potessimo dire: ci sentiamo tra 2 settimane, nel frattempo state in casa e godetevi questo inizio di primavera.

 

L’informazione e la comunicazione non creano sempre un valore positivo.

Ricordiamocelo quando sarà andato tutto bene e torneremo a parlare di comunicazione per i nostri brand e per i nostri prodotti e servizi.

Comunicare va bene fino a una certa soglia. Poi si può parlare di “bulimia informativa”.

Michele Crudele, in un suo scritto, parla di «bulimia informativa e anoressia decisionale». Trovo questa etichetta illuminante.

Chi passa ore di fronte a schermi che rimbalzano non-notizie sulla pandemia di Coronavirus sta agendo meglio e con maggiore consapevolezza di altri?

No! È paralizzato e non riesce a smettere di alimentare quell’impulso della ricerca compulsiva di informazioni.

Più informazioni raccogliamo e, in taluni casi, meno capacità decisionale maturiamo.

È un po’ come il concetto di Utilità, che mi spiegò all’università Carlo Antonio Ricciardi, uno dei migliori prof. che abbia mai conosciuto, oggi scomparso. Se abbiamo sete e beviamo un bicchiere d’acqua stiamo bene, con due ancora meglio, con tre abbiamo raggiunto la piena soddisfazione del nostro bisogno e siamo in uno stato di benessere. Se ci costringiamo a bere ancora, quel quarto bicchiere d’acqua, identico ai precedenti, non produce più Utilità per noi, ma disvalore.

Quante volte invece sentiamo la voglia di “rovesciare addosso al cliente” più informazioni possibili?

Magari lo facciamo con un intento positivo, per metterlo nelle condizioni di valutare al meglio. Ma così, in effetti, non è. Magari, al contrario, lo stiamo ostacolando nel suo processo decisionale per colpa delle nostre troppe informazioni.

Ognuno di noi deve comprendere qual è la soglia utile per i propri clienti e avere cura di giungere fino ad essa, senza volerla superare.

Ancora una volta, solo adottando il punto di vista del cliente e senza presunzioni di sorta, possiamo riuscire in questa difficile forma di equilibrismo.

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Istituto del Marketing Scientifico